I robot Marquez e Lorenzo: esempi di egoismo senza passione

Prendo spunto da un tema frivolo, come può essere il campionato mondiale di MotoGp, per mostrare un qualcosa di un pelo più profondo e che riguarda virtualmente ognuno di noi senza grosse distinzioni, anche se magari qualcuno potrebbe erroneamente ritenersi immune o estraneo al fatto.

Con buona probabilità, perfino se non siete appassionati del settore, anche solo per sbaglio avrete letto e/o sentito dell'”incontro ravvicinato” verificatosi ieri durante il gran premio della Malesia tra Valentino Rossi e il giovane spagnolo Marc Marquez, culminato con la caduta di quest’ultimo e il conseguente ritiro dalla corsa.

Per chi non fosse avvezzo alla questione, faccio un breve riassunto o, per dirla da fighi professionisti manager attenti all’immagine e alla produttività, vi fornisco un informational background. Rossi, su Yamaha, quest’anno è in piena lotta per la vittoria finale del campionato assieme al suo compagno di squadra, Jorge Lorenzo, spagnolo pure lui come Marquez (in sella a una Honda), ed è in testa alla classifica praticamente dalla gara inaugurale della stagione. Prima della tappa di ieri in Malesia, Rossi aveva un vantaggio di 11 punti su Lorenzo, che non sono tantissimi se si pensa che il vincitore di un gran premio ne riceve 25, il secondo 20, il terzo 16 e così via. Già dopo la gara precedente, disputatasi in Australia, Rossi aveva espresso un giudizio negativo nei confronti di Marc Marquez, reo a suo avviso (e ad avviso di molti) di averlo ostacolato nella sua lotta con Lorenzo facendogli perdere tempo inutilmente. Rivedendo lo svolgersi della gara il dubbio sorge piuttosto prepotentemente, con Marquez che fa melina fino all’ultimo giro per poi accelerare improvvisamente e andare un secondo più veloce di tutti, prendendosi la vittoria su Lorenzo. Rossi, impelegato anche con sorpassi e controsorpassi con Andrea Iannone su Ducati (oltre che con Marquez stesso), finisce quarto. Di qui l’accusa.

Arriva la Malesia. Giovedì, nella conferenza stampa prima del weekend di prove e di gara, Marquez afferma di non avere intenzione di mettersi in mezzo alla lotta tra Rossi e Lorenzo. Durante la gara, però, accade il contrario, con Marquez che prima viene superato da Lorenzo senza il minimo problema e poi ingaggia un duello all’ultimo sangue con Rossi, fatto di sorpassi e controsorpassi anche piuttosto azzardati e rischiosi, specialmente pensando al fatto che Rossi è in piena lotta per il mondiale e Marquez assolutamente no. I due perdono tempo nei confronti dei due leader della gara, Pedrosa (compagno di squadra di Marquez, spagnolo) e Lorenzo alle sue spalle. E non servono nemmeno un paio di “richiami all’ordine” di Rossi a Marquez che, nel frattempo, rischia di mandare l’italiano gambe all’aria con un sorpasso al limite della regolarità.

E arriviamo all’episodio culmine. In una curva Rossi affianca Marquez, ormai totalmente disinteressato della gara, all’interno e lo accompagna verso l’esterno, lanciandogli allo stesso tempo un paio di occhiate da sotto il casco. Lo spagnolo fa per curvare e si appoggia alla gamba sinistra di Rossi, il quale cerca di toglierselo di dosso e facendolo cadere nel tentativo. Pedrosa vince, Lorenzo secondo, Rossi terzo. Il suo vantaggio sul compagno di squadra scende a 7 punti.

Dopo la gara, l’inevitabile penalità a Rossi: nell’ultimo appuntamento del mondiale a Valencia partirà in fondo al gruppo. Lorenzo commenta la decisione definendola ingiusta, in quanto Rossi arriva all’ultima gara ancora con 7 punti di vantaggio su di lui.

Ok, finito il riassunto delle puntate precedenti. Passiamo alla considerazione vera e propria: l’atteggiamento. Sì perchè, alla fine, non ce n’è. Puoi fingere quanto vuoi, fare il simpatico, ridere, fare il figo e mostrare un senso di rispetto e sportività per un po’ di tempo… ma sulla lunga durata, se sei uno stronzo prima o poi salta fuori. Sempre.

Ma non voglio ridurmi a dare giudizi sul comportamento dei vari protagonisti della vicenda, i quali mi servono solo per evidenziare la differenza tra chi fa quello che fa con passione e chi, invece, cerca solo di ottenere fama e saziare il proprio misero ego robotico, non importa come. Se avete seguito un po’ il motociclismo negli ultimi 15 anni (facciamo anche 20), saprete benissimo come a Rossi piaccia correre in moto e lottare per la vittoria con degli avversari acerrimi e agguerriti. Certamente, per lui, la questione fama personale (e smisurato rigonfiamento del portafogli) c’è e magari è pure piuttosto forte, forse in maniera maggiore quando non era ancora il Valentino Rossi che poi è diventato. Però la componente del puro piacere di correre in moto, del divertimento, della sfida e pure, perchè no, delle spallate in pista (tra parentesi: le dava SOLO al suo avversario diretto per il titolo dei vari mondiali, mai per ostacolare un altrui pretendente) è sempre stato fortemente presente.

Marquez e Lorenzo, d’altro canto, dimostrano con i fatti quanto per loro l’unica cosa che conta è la vittoria personale su tutto e tutti con qualsiasi mezzo e mezzuccio. Da bambini e ragazzini probabilmente si divertivano pure; poi hanno visto di essere buoni piloti, le persone attorno hanno montato loro la testa e da quel momento le corse in moto sono diventate solamente il tramite per arrivare a essere famosi e dimostrare di avercelo più lungo degli altri. Puro egoismo, nessun divertimento, nessun piacere. E, quindi, nessun rispetto. Sono le classiche persone disposte a vendere i loro genitori pur di arrivare dove vogliono per soddisfare la loro pochezza interiore. Nel frattempo provano a rendersi simpatici (Lorenzo proprio simpatico non lo è mai stato…), fingono di essere ciò che non sono. Fingono di essere migliori.

Ma il robot emerge sempre. Il vuoto meccanico che accompagna tali persone ormai morte dentro e ipnotizzate alla ricerca della dose suprema della loro droga preferita (il prevalere sugli altri e la ricerca di attenzione) piano piano li consuma, matura e al momento giusto della cottura emerge prepotentemente, senza più maschere e ipocrisie. E’ quello che accade a tutti quando all’entusiasmo per l’attività svolta, per un’azione compiuta, per una parola detta si sostituisce una meccanicità svuotata di significato, privata di consistenza.

Accade a tutti. Ad esempio quando, al supermercato, dite “Grazie” alla cassiera o al cassiere. Quel “Grazie” è sentito? O è solo una convenzione sociale alla quale vi attenete perchè “si fa così” e, non seguendola, potreste passare per scortesi?

Perchè in una discussione volete incessantemente avere ragione? Discutete perchè sentite di volerlo fare o soltanto per prevaricare gli altri e provare a convincervi di essere i migliori, i più fighi dell’universo? E’ tutta una questione egoica, di quanto “piccola” è una persona, ridotta alla miseria, a una vita senza passione, senza gioia, senza entusiasmo. Senza vita.

#coscienza, #ego, #mente, #persona, #vita

Perchè c’è sempre rumore?

Noi dobbiamo parlare, sempre e comunque, anche se la gran parte delle volte non abbiamo una beneamata mazza da dire. Ma quando sei con una persona che conosci, non importa se è una che vedi virtualmente tutti i giorni oppure ogni centocinquanta decadi, il silenzio è tollerabile soltanto finchè dura mezzo secondo: dopodichè interviene quel bisogno apparentemente naturale (“apparentemente”, perchè naturale non è: è costruito) di aprire la mascella ed espellere dei suoni ordinati in modo tale da essere riconosciuti consuetudinariamente come “parole”.

C’è questa mania imperante… “Parla! Parla sempre! Anche per defecare stronzate, l’importante è non stare in silenzio! Sai che imbarazzo, se no?” C’è questa sovrapposizione concettuale tra “parlare” e “comunicare”, nella quale il silenzio non è contemplato positivamente. Non dico di stare zitti sempre, ma cazzo! quando non si hanno concetti importanti e/o utili da esprimere, il silenzio è un’opzione estremamente facile ed intelligente da prendere in considerazione e, soprattutto, NON E’, NON E’, NON E’ fonte di imbarazzo: anche il silenzio è comunicazione, molto spesso anche più profonda di quella verbale. Il problema è, come sempre, a livello mentale: non appena si crea un nanosecondo di non-rumore, inizia il blablablablablablablablabla della mente, che vaga e vaga, gira e rigira, va e torna, senza capo nè coda, palesando, tra le altre milioni di cazzate, quel pensiero costruito culturalmente che etichetta il silenzio come “brutto, imbarazzante, triste, strano, vuoto, da evitare, da riempire”. Congetture, ricordi, immagini, persone, situazioni, passato e futuro.

Almeno fossero naturali, i pensieri, non sarebbe tutto sto gran problema. Ma non lo sono, se per naturale intendiamo qualcosa con cui si nasce e qualcosa che è manifestamente così, intrinseco alla realtà. Il muro di casa mia è bianco: questo è, con qualche forzatura concettuale che spero mi passerete, una cosa “naturale”. Già solo dire che è “bello” non rientra più nel naturale. Ora immaginate tutte le influenze culturali che avete incontrato da quando siete nati, tutto quello che vi sembra ovvio, a cui nemmeno pensate. Tutto ciò che avete inconsapevolmente reificato ed elevato a rango di “naturale, è così”. Anche il considerare il silenzio tra due o più persone come sconveniente rientra in questa categoria: il silenzio in natura, cos’è? Imbarazzante? Triste? O cosa? Il silenzio è, punto.

Purtroppo, a mio avviso, viviamo nella società del rumore, sempre e comunque. Più ce n’è, meglio è. Rumore inutile, un sottofondo costante della nostra vita. Ma la bega non è tanto nel rumore “là fuori”, quanto nell’avere interiorizzato in noi l’idea di fondo: ci vuole rumore, silenzio = tristezza = evita! (perchè, ovviamente, la tristezza è da evitare come la peste. Mai, mai, mai essere tristi! Non c’è nulla da imparare nella tristezza! La tristezza non è divertente, non è “in”, non è cool, non è fashion! Sei triste? Sfigato!). Questo è il nodo, un esempio lampante di quello che Michel Foucault definiva “la microfisica del potere”: il potere non ha bisogno di essere effettivamente presente 24 ore su 24, dato che sei tu a comportarti sempre come se il potere ti stesse osservando. Il potere “… non è mai localizzato qui o lì, non è mai nelle mani di alcuni, non è mai appropriato come una ricchezza o un bene. Il potere funziona, si esercita attraverso un’organizzazione reticolare”. Sei tu a comportarti in base ai condizionamenti che il potere (e l’ambiente a te circostante, aggiungo io) ha definito e che tu hai interiorizzato come “naturali”, perchè “è così che si fa”. Anche tu eserciti, riproduci il potere.
Breve puntualizzazione: gli Illuminati, l’èlite o come cazzo volete chiamare i quattro stronzi che giocano a chi ce l’ha più lungo su scala planetaria, non sono là fuori: sono dentro la vostra mente e siete voi a renderli reali.

Tornando al rumore, c’è ovviamente una ragione per cui esso è così preponderante e fatto percepire come “giusto” (ed interiorizzato così): non consente il ragionamento sereno e il chiaro silenzio interiore, due elementi fondamentali per distinguere le menzogne e l’illusione dalla verità e la realtà. Voglio dire, voi chi pensate di essere? Quel rumore nella testa? O forse tutte quelle convinzioni, tutte quelle cose ovvie che non mettete mai in discussione? O quello che vedete allo specchio? O tutte queste cose insieme? Eppure ci sono quei momenti in cui, quasi magicamente, il rumore sparisce in una frazione di secondo e veniamo totalmente pervasi da una sensazione di gioia, di libertà, di Essere, di eternità… Cosa rimane, allora? Niente. Esatto: niente. Silenzio, pace, tu, Dio, Infinito, Essenza.

Blablablablablablabla… ssshhhh! Il silenzio è rivoluzionario.

#coscienza, #ego, #mente, #persona

Quando il resto del mondo non conta più

Dal treno ho visto una scena bellissima, oggi, quasi poetica. Anzi, proprio poetica. Ha ripagato totalmente la tensione accumulata fino a un paio d’ore prima, quando ho sostenuto un esame in università, e di cui in questo momento porto i segni (sono scarico, l’adrenalina e la tensione sono sparite e hanno lasciato spazio alla stanchezza).

Protagonisti della scena, un signore sui 55-60 anni (credo, era abbastanza lontano), non longilineo ma neanche tondo, pantaloni lunghi scuri e giaccone altrettanto scuro, e il suo cagnolino, bianco, piccolo, ricciolino. Ah, e una pallina di gomma.

Il signore dimostrava buone doti calcistiche, dato che controllava sempre benissimo la pallina tra i suoi piedi e la spostava senza troppi problemi nel tentativo di non concederla al suo amico a quattro zampe. Il quale dimostrava una gioia e una giocosità incredibile, preso com’era ad andare a destra e a sinistra, avanti e indietro, scattando agilmente e arrestandosi in un amen, coda scodinzolante e occhi fissi sulla pallina. Finchè questa era tra i piedi dell’uomo, il piccoletto non azzardava scagliarcisi sopra, quasi come segno di rispetto: sembrava consapevole che il bello del divertimento era proprio questo suo atteggiamento. E andava a destra e a sinistra, sempre scodinzolando, preso completamente nel gioco.

E l’uomo… pure. Spostava la palla, faceva un paio di finte con le gambe, si girava e si girava ancora, si impegnava davvero. Pure lui era completamente preso dal gioco. In quel momento, esistevano solo 4 cose: l’uomo, il cane, la pallina e una superficie di cemento 4×4 metri, teatro del gioco. Tutto il resto dell’esistenza era superfluo, non serviva: non aggiungeva nulla alla perfezione di quello spettacolo. La spensieratezza e la felicità presenti sia nel signore che nel cane erano tutto il necessario.

Finchè siamo rimasti fermi alla stazione, sono rimasto pietrificato al cospetto di tanta bellezza, pura, semplice, incantevole. E quella energia, quell’atmosfera che permeava quei 16 metri quadri di cemento, per un attimo è arrivata anche a me: nulla importava davvero, il mondo sarebbe potuto letteralmente esplodere in quel preciso momento e non sarebbe cambiato niente. Probabilmente, non me ne sarei nemmeno accorto.

Davvero, è stato un qualcosa di divinamente meraviglioso. Ero in totale adorazione. Avevo davanti ai miei occhi, a una trentina/quarantina di metri di distanza, tutto il senso dell’esistenza, tutta la poesia cosmica, tutta la bellezza che deve per forza appartenere all’essenza di quel concetto universale comunemente etichettato come “Dio”.

Poi il treno è ripartito…

#coscienza, #dio, #mente, #percezione

Ci vuole un cambio di mentalità

E rieccomi dopo alcuni mesi di assenza dal mio piccolo nido blogghettaro per sciorinare una questione di discreta importanza.

Il popolo italico è tornato dalle ferie ebbro di tanta cioia, come dicono Ratzinger e più o meno tutti i teutonici ansiosi di parlare l’itagliano. E mentre i media diffondono il terrore psicologico di miliardi di euro mandati in fumo in tre quarti di secondo, di ricamati tagli alle spese dello Stato (leggi “meno soldi per il popolo e più ricchezza per i più ricchi”), la piccola solfa quotidiana è all’incirca la stessa. L’unica differenza è l’aggiunta spropositata di coloriti epiteti rivolti a destra e in alto in impeti furiosi di rabbia hulkiana, con tanto di camicia strappata (i pantaloni, chissà perchè, rimangono sempre interi) e urla animalesche.

In ogniddòve è la frustrazione a dominare. E i canali di sfogo sono: il governo e le banche, puntualmente riempiti di sonore offese verbali e scariche rabbiose di espressioni facciali contornate da un sottile filo di bavetta e gesti corporei degni del peggior ultrà bergamasco (non me ne vogliate).

La soluzione ultima sembra quella del “mandarli tutti a casa e sostituirli con altre persone, migliori”. Ingenui.

Tenuto conto che i veri detentori del potere decisionale rimangono imboscati dietro i pagliacci da tiggì e da quotidiano, la semplice sostituzione di suddetti ciarlatani non risolve nulla: i capi supremi faranno sì che altri ciarlatani, questa volta vestiti eleganti, vadano in primo piano e, beffa aggiunta al danno, ottengano il sostegno spontaneo del volgo al grido di “libertà!” ed altri spropositi simili. Questa rivoluzione andrebbe a puttane in poco tempo.

Sia chiaro, meglio che niente, eh: un bel moto di risveglio non è mai un brutto affare.

Ma, a mio modesto avviso, il problema resterebbe. Perchè? Benissimo, ammettiamo anche che per intercessione divina i supremi venissero defenestrati (nel senso che venissero lanciati dal 160esimo ed ultimo piano del Burj Khalifa). Pensate che, nel tempo, nessuno e dico nessuno riuscirebbe a prendere il loro cadreghino? Che non si formerebbe una nuova èlite? Nah.

Come sempre, o quasi, in questa società si pensa di risolvere i problemi che ci affliggono, quando in realtà si sta iniettando solo un insipido placebo. Ma mentre con il famigerato “effetto placebo” si può anche stare effettivamente meglio, qui è una illusione bella e bona.

Il primo esempio che mi balza al cervello è quello dell’industria farmaceutica. E’ piuttosto banale, in effetti, e il solo parlarne rischia di far cadere in depressione, portandovi ad avere effettivamente bisogno delle “cure” di Big Pharma. Detto brevemente: le aziende farmaceutiche non traggono profitti dal far stare bene le persone, ma dal far perdurare le malattie. E’ piuttosto ovvio, se ci pensate: più la gente sta bene, meno farmaci si vendono e meno introiti ci sono per Bayer e soci.

Il secondo esempio è quello dei criminali, forse meno evidente del primo e proprio per questo più interessante. Cosa facciamo noi, ora, quando (e se) becchiamo un criminale? Lo distruggiamo, sostanzialmente. A meno che non abbia i soldi, certo… In pratica, il ciula di turno viene massacrato, sbattuto in galera e la sua vita è rovinata. Viene giudicato e punito. E in questo modo noi pensiamo di aver “fatto giustizia”, di aver “tolto un criminale dalle strade”, di aver “ridotto la criminalità” e altre fandonie del genere. Fandonie, appunto. In realtà, il problema non si è spostato di una virgola: è lì, come prima più di prima.

Ciò per dire che è inutile prendersela con le persone fisiche attrici del momento. Il problema è a monte: è la mentalità. Basta fermarsi un picosecondo e ragionarci sopra, anche se il lavoro, e “devo fare questo”, e “devo andare di qua”, e “chissà cosa pensa di me”, e “devo dimagrire” e cazzi simili tendono a bloccarci.

La società odierna, come (purtroppo) tutte quelle del passato conosciuto, ha un totem centrale intorno al quale è costruita: l’egoismo. L’idea stessa di “potere” è una rappresentazione dell’egoismo e il voler controllare la massa, dividerla e dominarla, lasciandole soltanto l’insulsa sensazione di essere libera, beh… Fate voi. Chi ha il potere lo protegge a tutti i costi e ne vuole sempre di più: chi ha soldi li protegge e ne vuole sempre di più. Moriranno milioni di persone per l’interesse di pochi? Ecchissenefrega!

I media diffondono quotidianamente paura e diffidenza, in modo da alimentare l’ego e l’istinto di sopravvivenza. Bisogna possedere oggetti, ottenere giudizi sempre positivi dagli altri, essere sempre i migliori, in competizione. Quando non si parla di xenofobia, omicidi, crisi economiche, pessimismo e rassegnazione, quali argomenti vengono tirati in ballo? Il gossip, il calcio (soldi, competizione ed egoismo nascosti dietro un pallone), la cucina e quelle simpaticissime fiction.

Ma il bello? La gioia? L’altruismo, la compassione, le persone vere? No, sempre meno, perchè non puoi fidarti degli altri. Hai sentito di quel russo che ha mangiato un uomo? O di quella donna scippata a Roma, che adesso è in coma? E gli immigrati? No no, io penso per me e stop. Gli altri si fottano.

Ma se invece di pensare ai soldi, al potere e al successo, pensassimo chessò… all’effettivo benessere? Se, così per dire eh, curassimo effettivamente le malattie?
Se, invece di giudicare e punire la singola persona, provassimo a capire la cause del suo agire? E di quello degli altri? E se provassimo a risolvere effettivamente il problema? Non si riuscirà a debellarlo e non sarebbe nemmeno meglio farlo, ma ridurlo drasticamente sì.

E’ piuttosto semplice, per cominciare. Tra le varie conseguenze (che diventa causa a sua volta) della mentalità egoistica dominante, ce ne è una secondo me sottovalutata: ricordare le proprie esperienze in maniera distorta. Mi spiego. Mi è capitato tante volte di sentire persone dire “Eh, la vita è dura. Io ho avuto tante delusioni, tanti momenti brutti. Quelli belli sono pochi, molto pochi. Ho dato tanto e ho preso solo sberle, ma adesso basta” e poi magari aggiungere, in uno sprazzo di lucidità, “Però, comunque sia, è bella la vita”. Ci si dimentica troppo facilmente dei bei momenti per concentrarsi su quello che ci ha fatto male e ciò influenza abbastanza pesantemente la nostra psiche. Una risata, un panorama, uno sguardo, una figura di merda, un consiglio. Le cosiddette “piccole cose”. Non siamo abituati a goderle e, di conseguenza, a ricordarle.

Solo allora si riesce a vedere la vita (o forse è meglio dire “esistenza”) per quella che è: stupenda, nella quale sia il bello che, forse soprattutto, il brutto sono occasioni perenni per crescere ed evolvere. In positivo, non in negativo: occasioni, non punizioni.

E allora fanculo il potere! Fanculo il governo, l’economia, Monica Setta, Studio Aperto e il Papa! Non abbiamo bisogno di voi. Sappiamo come si vive, siamo esseri evoluti, cazzo! Non ci fate più paura e anzi vi esortiamo ad evolvere voi stessi. Ora sappiamo perdonare e non punire, comprendere e non giudicare, amare e non odiare. Siamo liberi con noi e fra di noi, perchè, senza la libertà fra le persone, chiedere la libertà dall’oppressione di qualche dittatura è miopia, anche se non è sbagliato.

La rivoluzione più potente che si possa mai compiere è la drastica riduzione dell’egoismo, che è la mentalità propagandata dal potere e nella quale ci perdiamo inutilmente. Le persone vanno e vengono, per questo è utile solo fino ad un certo punto cacciare presidenti e ministri insieme ai banchieri. Dopotutto, anche loro sono persone venute al mondo dall’unione di uno spermatozoo con un ovulo e sono cresciute sul nostro stesso granellino di sabbia nell’Universo.

Si potranno abbattere governi, girare il mondo sottosopra, e comunque, se la mentalità dominante tra la gente stessa, ancor prima che tra i potenti (che, almeno per parte della loro vita, fanno parte della gente) sarà l’egoismo, nulla cambierà . Ah no, scusate: invece di “fanculo Berlusconi” diremo “fanculo Fini”. Eh beh…

#coscienza, #elite, #liberta, #mente, #persona, #potere

Il silenzio non giudica

Torno a parlare di idee un filo più “alte” rispetto ai mille articoli di geo-politica che ho messo da qualche mese a questa parte e non è detto che la cosa non si ripeterà un po’ più spesso in futuro.

Eccovi, quindi, bel pezzo che mostra precisamente come concetti del tipo buono/cattivo, bello/brutto ed altri esempi di dualismo siano completamente relativi e soggettivi.

(articolo da Veritas2012.blogspot.com)

Come ci si comporta coi rumori?

Una volta un allievo del centro Zen di Cambridge disse a Dae Soen Sa Nim: “Mentre medito – mentre pratico la meditazione – mi sento spesso disturbato dai rumori. Cosa posso fare?”
DSSN disse: “Che colore ha questa coperta?”
“Blu.”
“È piacevole o fastidiosa?”
“Piacevole.”
“Chi la fa piacevole?”
L’allievo scosse le spalle.
DSSN disse: “Tu la fai così. Fastidiosa o piacevole sono fatti dal tuo pensiero. Pensi che qualcosa sia fastidioso ed allora è fastidioso. Pensi che sia piacevole ed allora è piacevole. Fastidioso non è proprio fastidioso, piacevole non è proprio piacevole. Il vero silenzio non è né piacevole né fastidioso. Se senti i rumori con la mente chiara, senza alcuna proiezione, allora non sono più rumori, allora, è solo quello che è. Piacevole e fastidioso sono opposti. L’assoluto è solo semplicemente così.”
Per qualche attimo regnò il silenzio. Quindi DSSN chiese: “Qual è l’opposto di blu?”
L’allievo rispose: “Non lo so.”
DSSN disse: “Blu è blu, bianco è bianco. Questa è la verità.
Seung Sahn sunim

#coscienza, #illusione, #mente, #percezione, #spiritualita-2